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Europee? Grazie, non voto! La risposta dei sardi dalla schiena dritta.

Il prossimo 25 maggio si svolgeranno le elezioni per i rappresentanti italiani al Parlamento europeo. A pochi giorni da quando la Camera dei Deputati ha respinto il disegno di legge sul collegio unico della Sardegna, negando di fatto la possibilità ai sardi di avere propri rappresentanti a Bruxelles. Questo è il riconoscimento della politica nazionale alla nostra isola, rea di non aver mai saputo scegliere elettoralmente persone capaci e difficilmente ricattabili nelle varie istituzioni politiche locali, regionali e nazionali. Bisogna smetterla infatti di piangerci addosso col solito vittimismo addossando i nostri mali al destino cinico e baro. Anche tempo fa al Senato fu affrontato il problema di assegnare alla Sardegna un collegio unico per le europee e per un solo voto non passò il relativo disegno di legge. Si tratta di un’altra bocciatura, questa volta avvenuta nel non lontanissimo 2004, dove fu determinante l’astensione dell’allora senatore sardo Gavino Angius

Un’azione politica che destò allora, almeno formalmente, lo sdegno di tutto il mondo politico isolano. Una spiacevole conferma che anche nei tempi odierni è quasi impossibile scrollarci di dosso l’impietoso giudizio espresso nel Cinquecento in una missiva dell’allora arcivescovo di Cagliari Antonio Parragues de Castillejo, secondo la quale i sardi sono “pocos locos y mal unidos”. E che finora i nostri rappresentanti politici non abbiano mai brillato di luce propria, preferendo la poltrona alla difesa dei diritti dei sardi, non è una novità, ma una semplice constatazione. Francesca Barracciu, nonostante 110 mila voti ottenuti nelle precedenti elezioni, non è risultata eletta, ottenendo il seggio a Bruxelles per grazia ricevuta, a seguito delle dimissioni di Crocetta dopo la sua elezione a Governatore della Sicilia. Un seggio che la Barracciu avrebbe potuto ottenere tranquillamente con l’assegnazione del collegio unico per la Sardegna. L’abbinamento con la Sicilia e i suoi 5 milioni di abitanti non lascia spazio alcuno  all’elezione di un sardo. Gli otto seggi assegnati alla circoscrizione delle due regioni, nonostante il milione e mezzo di residenti in Sardegna, andrebbero in questo modo tutti all’isola sorella. 

Una vera e propria ingiustizia politico-istituzionale dal momento che il Parlamento ha respinto una legittima richiesta, un sacrosanto diritto, in quanto il disegno di legge, una volta approvato, avrebbe consentito di assegnare sei seggi alla Sicilia e gli altri due alla Sardegna, garantendo a entrambe un’equa rappresentanza. L’offesa alla Sardegna e ai sardi da parte dello stato  italiano è di una particolare gravità, in quanto nel caso in questione non è   stata l’Europa a imporre limitazioni o divieti alla presenza di europarlamentari sardi, ma l’insaziabile ingordigia dei partiti italiani. Ricorda sotto molti punti vista un altro Parlamento, quello del “Regnum Sardiniae” di cinque secoli fa, composto in gran parte da catalano-aragonesi, che alle pressanti richieste dei Sardi di una partecipazione più attiva alla gestione della res publica, oppose sempre un’ottusa resistenza. 

Parlamentari talmente convinti delle proprie ragioni che non esitarono a chiedere al re in diverse sedute il mantenimento degli antichi privilegi, in quanto erano stati concessi per tenir apretada e sotmesa la naciò sarda. Sono maturi i tempi per capire una volta per tutte che non ci viene regalato nulla da chi si ostina a considerare la Sardegna ancora una provincia romana, ma anche e soprattutto che abbiamo sempre espresso una classe politica sarda inadeguata e pronta a piegarsi agli influssi esterni, anziché salvaguardare con coraggio e determinazione la dignità di una nazione senza stato. In seno alla comunità europea, Cipro con soli 900 mila abitanti ha diritto a sei seggi, lo stesso dicasi per Malta con i suoi soli 400 mila abitanti. 

A parere dei soliti italioti sarebbe un atto dovuto in quanto trattasi di nazioni indipendenti. Tesi ridicola e poco credibile tendente ad alimentare le spinte separatiste presenti in ogni parte dell’isola. Un esempio per tutti proviene dalla comunità germanofona del Belgio con capitale Eupen, a cui con soli 72 mila abitanti è stato riconosciuto de facto  dal governo centrale un seggio a Bruxelles. L’esatto contrario di quanto sinora è avvenuto nei confronti della nazione sarda da parte dello stato italiano. 

Ci sono tutte le premesse per non credere alle promesse elettorali dei partiti italiani, che ancora una volta tenteranno di imbonire i sardi nella imminente campagna elettorale per le europee. Basta usare pacificamente tutti gli strumenti democratici a disposizione per esprimere la rabbia e lo sdegno di un popolo calpestato per anni e secoli dai dominatori di turno. Mai come in questo momento il “non voto” dei sardi alla prossima consultazione elettorale europea, se espresso con astensione massiccia, può assumere una valenza, un significato politico in grado di stabilire rapporti di reciproco rispetto tra lo stato italiano e la nazione sarda. Un’occasione più unica che rara per smentire totalmente l’ingiusta nomea affibbiataci da Antonio Parragues de Castillejo, dando un senso ai versi di speranza di un grande poeta nuorese del Novecento, Sebastiano Satta, un sardo vero, innamorato della sua terra, che scrisse “Se l’aurora arderà su’ tuoi graniti/Tu lo dovrai Sardegna ai nuovi figli…”.

In caso contrario prepariamoci al buio più fitto di una lunga, lunghissima notte in attesa di un’aurora che tarderà ad arrivare. 

 

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Politica a parte

C’è un’Italia di cui essere fieri

 

L’anno che si conclude, costellato di scandali, soprusi e ruberie esercitati a tutto spiano dai soliti manovrieri, non ci lascia sicuramente molte speranze per il futuro. La credibilità della politica e delle istituzioni è talmente scaduta da non consentire il benché minimo barlume di speranza ai giovani senza lavoro e nessuna ottimistica prospettiva di miglioramento della qualità della vita per i più anziani e i cittadini in genere. I dati statistici sull’emigrazione sono impressionanti: dall’1/7/1990 al 31/12/2013 gli espatriati italiani hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 2 milioni e 380 mila unità. Giovani talenti preparati, costretti all’estero per la totale assenza di meritocrazia in patria, e anziani delusi in fuga, che cercano un finis vitae più decente in altri lidi, sono la fotografia di un’Italia inverosimilmente condannata a un inesorabile declino.

E’ la logica conseguenza di un Paese allo sbando, avvitato su se stesso, privo di valori e senza alcun punto di riferimento nelle istituzioni politiche di ogni livello. 

Quella che doveva essere la patria del diritto è diventata una terra di conquista, dove il primo che si alza comanda e gli ultimi arrivati pretendono di dettare le leggi. In tutto questo tourbillon si nascondono un degrado morale, un rovinoso decadimento, un’insidiosa mancanza d’identità che solitamente precedono la perdita della libertà. Ed è in situazioni simili che la speranza lascia il posto alla rassegnazione, dando spazio ai demagoghi di turno, che ne traggono vantaggi politici all’insegna del tanto peggio tanto meglio. Ma è anche l’Italia delle contraddizioni, dove in alcune strutture pubbliche vige pressapochismo e scarsa attenzione per il bene comune, mentre in altre si affermano, in controtendenza col resto della nazione, spirito di servizio, spiccato senso del dovere, una radicata abnegazione sino al limite dell’eroismo. 

Alla fine di quest’anno la cronaca ci ha presentato due episodi contrastanti e in aperta antitesi fra di loro. L’assenteismo dell’83 per cento dei vigili urbani di Roma, chiamati a garantire la sicurezza della città nella convulsa notte di San Silvestro, e la corsa contro il tempo dei soccorritori dell’Aeronautica e della Marina per salvare dalle fiamme del traghetto Norman Atlantic 477 vite umane, che senza il loro intervento giacerebbero in fondo al mare. Un esempio di alto valore morale e civile del mondo militare, che lo stesso Capo di Stato non ha potuto fare a meno di menzionare nel suo discorso di fine anno.

Ma noi avremmo voluto fossero stati citati esempi positivi provenienti dalla politica. Avremmo voluto che il numero dei parlamentari fosse stato ridotto di un terzo assieme alle esose indennità loro attribuite sinora. Avremmo voluto che le pensioni d’oro fossero state equiparate a quelle dei comuni mortali. Avremmo voluto che fosse stato imbastito un processo nei confronti di chi ha consentito la consegna dei nostri marò all’India dopo l’incidente avvenuto in acque internazionali. Avremmo voluto l’eliminazione drastica, sempre proclamata e mai realizzata, degli enti inutili e il conseguente ridimensionamento dei costi della politica. 

In sostanza avremmo voluto fatti e non più parole. Invece ci siamo dovuti accontentare di episodi ed esempi, seppure nobili ed esaltanti, non certamente verificatisi per meriti politici. Sono dovuti a una formazione militare di antica data, nella quale orgoglio nazionale e sprezzo del pericolo, soprattutto quando ci sono in ballo vite umane, sono e rimangono valori irrinunciabili. Da ciò nascono dei professionisti che preferiscono rinunciare all’abbuffata di natale e capodanno, senza produrre certificato medico pur di salvare la vita altrui. 

I soccorritori dell'Aeronautica Militare e della Marina con i loro elicotteri in hovering con mare forza otto e il vento a 50 nodi, hanno dimostrato al mondo intero, che li seguiva col fiato sospeso, l’esistenza di un’altra Italia, dove si pratica l’arte dell’impossibile. 

Un privilegio una volta appannaggio della politica, prima che i politici dei giorni nostri la trasformassero in arte di turlupinare il popolo che rappresentano.

 

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